Nel 2017 su Matilde non ci siamo fatti mancare proprio niente, dai siti archeologici agli gnocchi (qualcuno mi accuserà di essere blasfemo!!!).
E’ il 2 giugno, siamo a Itea (Grecia continentale, dopo Patrasso, a circa 30 miglia da Corinto), da pochi giorni siamo in Grecia dopo essere partiti da Fiumicino il 16 maggio. A bordo, oltre a me e a Dino c’è anche Marco, un appassionato di vela e di cucina conosciuto tramite internet, che si è imbarcato a Reggio Calabria e ci accompagnerà fino a Milos, dove si imbarcherà su un’altra barca a vela per tornare in Italia. Magia di internet!!!
Finalmente a Itea ho risolto il problema dell’ingresso di Matilde in Grecia: in Capitaneria di Porto mi hanno messo l’anelato timbro sui documenti di bordo che da tre giorni cercavo invano che qualcuno mi mettesse (poi però ho scoperto che non serviva, ma io mi sentivo clandestino in acque elleniche senza quel benedetto timbro).
A Itea abbiamo incontrato in banchina Simone e suo figlio Riccardo.
Simone è un italiano, vive Cagliari, lavora in polizia e nel tempo libero si occupa di un’associazione che recupera attraverso lo sport della vela ragazzi socialmente disadattati. E’ un’attività di volontariato encomiabile e totalmente disinteressata, che ho già avuto modo di conoscere, insieme al suo animatore principale (Simone, appunto) alla conferenza stampa della regata Civitavecchia-Lipari-Civitavecchia nello scorso mese di febbraio a Roma, regata alla quale l’associazione ha partecipato con un suo equipaggio.
Simone è a Itea perché sta portando una barca acquisita dall’associazione dalla Turchia a Cagliari. E’ una barca particolarissima, in carbonio, molto tecnologica, ha una deriva basculante molto profonda (oltre tre metri), è impegnativa nella conduzione, ma Simone è giovane e in gamba e ben accompagnato dal figlio Riccardo di circa 16 anni, già esperto velista.
E’ stata una bella sorpresa incontrarli e l’impresa che stanno compiendo mi riempie di gioia e di speranza. Scopriamo ovviamente di avere molti amici in comune, e a uno in particolare (Arturo, attuale proprietario della mia ex barca) telefoniamo per salutarlo e per dargli la conferma che il mondo è davvero piccolo.
Dopo aver visitato il loro “splendido mostro” ormeggiato all’ingresso del porto, prendiamo un aperitivo su Matilde e li invitiamo a cena a bordo, ma Simone ha promesso a Riccardo una bella pizza greca e per noi non ci sono chance. Sarà per il giorno dopo.
Tra le chiacchiere, Simone lamenta la nostalgia per un buon caffè italiano, ma dopo l’aperitivo non è certo il momento buono. Io però ricordo di avere a bordo una Bialetti un po’ vecchiotta, ma perfettamente funzionante e da me rimpiazzata a Marsiglia, due anni fa, con un’altra moka (sempre coi “baffi”), più elegante. Così insisto con Simone affinché si prenda quella vecchiotta insieme a un pacchetto di caffè Lavazza, di cui su Matilde ce n’è una quantità industriale. Con un po’ di riluttanza, ma alla fine con piacere Simone accetta il piccolo ma utile dono, difficilmente reperibile in Grecia.
Per l’indomani abbiamo un programma particolare: ci siamo presi un giorno di riposo anche perchè il tempo non sarà un gran che e, insieme a Simone e Riccardo, approfittiamo della vicinanza di Itea a Delfi per andare a visitare uno dei siti archeologici più belli dell’intera Grecia. C’è addirittura un bus di linea che ci porta lì e così dimostriamo a noi stessi che non pensiamo solo a navigare e a mangiar bene, ma alimentiamo coscienziosamente anche il nostro spirito.
Inutile dire che il sito di Delfi è stupendo, emozionante e … un po’ faticoso. Arrampicarsi fino allo stadio è davvero impresa dura, ma anche se c’ero stato almeno altre due volte, è sempre emozionante salire verso il tempio di Apollo percorrendo la via sacra e poi su, fino al teatro e allo stadio.
Più a valle, visitiamo anche il tempio di Atena che è uno dei luoghi che più di ogni altro mi è rimasto nel cuore da sempre.
Tra il Santuario di Apollo e il Tempio di Atena, di fronte alla purificatrice sorgente Castalia lungo la strada principale moderna, c’è uno slargo alberato usato dai visitatori per soste ristoratrici e anche noi ne approfittiamo per fare lì uno spuntino con quello che abbiamo acquistato stamane nella bakery di Itea e che io chiamo genericamente “strufolo” (ottimo tortino rustico con feta e verdure).
L’ora è propizia per una sosta (circa l’una del pomeriggio), fa molto caldo e quindi insieme a noi ci sono parecchi altri visitatori. Tra gli altri c’è anche un gruppo tutto femminile, circa 20-25 donne alcune carine altre meno, di età variabile tra i trenta e i sessant’anni, ma tutte contraddistinte da vestiti coloratissimi, spesso fiorati, numerosi ma non eccessivi tatuaggi, piedi rigorosamente nudi, insomma un tipico gruppo “figlie dei fiori” stile anni sessanta.
Tra loro parlano inglese. Una di loro, longilinea, carina e di mezza età, a un certo punto si arrampica su un albero secolare, si mette a cavalcioni di un possente e alto ramo che sporge in orizzontale e comincia rapita ad accarezzarlo appassionatamente, con entrambe le mani. Quel ramo di certo le trasmette sensazioni inenarrabili e quella scena, mentre sembra essere totalmente ignorata dalle donne presenti, non sfugge all’altro sesso e figuriamoci se passa inosservata ai marinai presenti. Una lap-dance per noi non avrebbe avuto maggiore attrattiva. Andiamo via, anche se a malincuore, con la curiosità di sapere almeno da dove venissero, ma il museo ci aspetta e noi abbiamo deciso di nutrire per bene il nostro spirito. Che bravi ragazzi!!!!
Nel pomeriggio, dopo una doverosa sosta al bar di fronte alla fermata del bus per un gustoso caffè greco, rientriamo nelle rispettive barche con l’intenzione di rivederci per cena a bordo di Matilde dove la cambusa e l’attrezzatura di cucina è certamente più ampia che sullo “splendido mostro”. L’appuntamento è per le sette e mezza, bisogna cenare presto perchè alle nove e mezza c’è la finale di coppa dei campioni Juve-Real e Simone e Riccardo sono appassionati juventini (loro unico difetto) e non la vogliono perdere.
Menu previsto: carbonara, zucchine a scapece, formaggi locali e parmigiano vacche rosse, bougatza. C’è tutto? No, manca il pane!!!! E ora? E’ domenica pomeriggio, bakery aperte neanche a parlarne, Dino e Marco vanno in paese a caccia di pane. Dopo un po’ tornano trionfanti: chiedendo in giro hanno consigliato loro di andare in chiesa, dove certamente avrebbero trovato quello che cercavano in cambio di una piccola offerta. E così fu.
Nelle chiese ortodosse infatti per la comunione si usa normale pane lievitato, in genere una grossa pagnotta rotonda con un timbro centrale a forma di croce. Sovente ho visto sacerdoti ortodossi uscire dalle bakery con in mano una grossa pagnotta e finalmente ho capito a che serve: una parte viene utilizzata per la celebrazione dell’eucarestia e il resto, dopo averlo benedetto, viene distribuito al popolo ponendolo, in pezzi piuttosto grossi, su un grande vassoio all’ingresso della chiesa.
I fedeli, che non necessariamente hanno finito il pane in casa loro, dopo la messa ne prendono un pezzo e danno una piccola offerta. Per noi è stata una vera e propria “manna”. Devo dire che era un po’ mollicoso, forse vagamente dolciastro, ma assolutamente buono e comunque meglio di niente. Poi era pure benedetto …. che volevamo di più? Ma veniamo al menu.
Mezze maniche alla carbonara fatte bene: guanciale italiano acquistato a Reggio Calabria (consapevoli che in Grecia non esiste o è molto difficile trovarlo), mezze maniche Garofalo – sette etti in cinque persone perchè ben coscienti che uno dei cinque aveva 16 anni e quindi due etti, forse due e mezzo erano già assegnati, cinque ottime uova greche (le uova e il pollame greco sono eccezionali!!!), tanto pecorino (grattugiato dall’infaticabile Dino).
Zucchine alla scapece, quelle che a Roma chiamano marinate ma a Napoli chissà perché sono dette “alla scapece” (zucchine tagliate a rondelle, fritte, poste a strati in una terrina e dopo ogni padellata si aggiunge di sale, aglio in pezzettini, aceto, menta. A riposo “in terrina” senza girare per almeno un paio d’ore, meglio di più, addirittura un giorno – le nostre erano state preparate il giorno precedente).
Formaggi greci di vario tipo e parmigiano da latte di vacche rosse, una prelibatezza a me sconosciuta prima, portata da Marco in quantità industriale e ottima sia da grattugiare sia da mangiare in pezzi, col pane benedetto diventa poi sublime.
Bougatsa: un dolce tipico greco a base di pasta fillo, crema vanigliata e poca cannella, in genere usato per la prima colazione ma ottimo anche come dessert.
Vino: Apelia rosato freddo, unico vino greco potabile e reperibile più o meno ovunque.
Cena ottima, quantità appena sufficienti, tutto finito tranne parmigiano e vino.
A fine cena Riccardo si produce in giochi di prestigio con le carte, è davvero bravo!!! Subito dopo ci catapultiamo al bar con annessa televisione per assistere alla finale di coppa (finale poi persa dalla Juve per 4 a 1 – mi dispiace solo per Simone e Riccardo – certamente non per la Juve). Al rientro in barca ci salutiamo con Simone e Riccardo, che domani, come noi, partiranno ma in direzione opposta alla nostra.
Nel tornare in barca, Simone mi dice di essere preoccupato per non avere razzi di soccorso a bordo (la barca era armata per regate e non ce n’erano a bordo), mentre Matilde, oltre a quelli in corso di validità, ne ha molti altri che, anche se scaduti, sono perfettamente funzionanti. Quindi, col piacere di entrambi gli armatori, un pacco di razzi ancorché scaduto viene trasferito a bordo dello “splendido mostro”. Dopo sinceri abbracci e scambio di indirizzi e-mail e numeri telefonici, si va a ninna.
Il giorno dopo, 4 giugno, mi sveglio come al solito all’alba. La Capitaneria di porto è aperta h24 e quindi, solerte, prendo i documenti di Matilde e vado in paese per ottenere il timbro di partenza da Itea. L’intenzione è di essere in piena regola arrivando a Methana, porto di ormeggio finale di Matilde.
Busso al portone della Capitaneria e, dopo un po’ di secondi, un agente della Guardia costiera si affaccia sonnolente al balcone del primo piano. Gli dico, in inglese, che devo partire e lui, facendo spallucce, mi dice praticamente “e parti, che vuoi da me?”.
Faccio cenno del timbro sui documenti e lui mi fa cenno di aspettare. Dopo un minuto il portone si apre, l’agente assonnato ha in mano il timbro e una penna e stesso lì in strada, sul portoncino della Capitaneria, mi mette il timbro sulla casella della partenza e la sua sigla a penna. Quanto gli devo aver rotto …. il sonno!
Tutto contento di aver adempiuto ai miei obblighi di comandante, me ne torno in barca soddisfatto attraversando silenziosamente le strade deserte e il porticciolo di Itea (sono le sei e mezza del mattino e tutti dormono tranne il solerte comandante di Matilde). In proposito devo ammettere che avevo delle conoscenze obsolete. Mancavo dalla Grecia da due anni e nel frattempo la normativa era cambiata.
Prima, in ogni porto tutte le barche dovevano farsi mettere dalla Capitaneria locale un timbro d’ingresso e uno di uscita su un fascicolo (Transit log book) a forma di lenzuolo (doppio formato A3) che si acquistava per 30€ al momento del primo ingresso nel paese.
Quello di Matilde, che conservo ancora come una reliquia, ha quasi esaurito tutte le caselle possibili, tanti sono i porti e le isole toccate dal glorioso veliero (quasi 200).
La nuova normativa prevede questa procedura solo per le barche con bandiera extracomunitaria mentre per gli europei c’è un timbro annuale, non sul Transit log ma su un altro modulo da me scoperto a Methana il giorno dopo dell’arrivo, da far timbrare solo una volta l’anno o a ogni ingresso o uscita dalla Grecia.
Stranezze della burocrazia greca: è tutto sicuramente più semplice ma possibile che a Itea mi hanno messo due timbri che non servono più, senza dirmi niente? La morale mi sembra più o meno questa: Vuoi il timbro? E noi te lo mettiamo … basta che te ne vai e ci lasci tranquilli!!!
Al ritorno dalla “missione timbro” Dino e Marco sono già pronti per partire e alle 7 precise la prua di Matilde punta al Canale di Corinto, che dista circa 30 miglia. Vento in poppa 18 nodi – povero Simone che deve andare in direzione opposta – randa terzaruolata e alle 13 siamo davanti all’ingresso del canale.
Via radio (VHF canale 11) annunciamo il nostro arrivo e ci dicono di attendere restando in ascolto sempre sul canale 11. L’altra volta che avevo passato Corinto, sempre provenendo da ovest, ero stato molto fortunato: appena contattata la torre di controllo mi avevano detto di entrare immediatamente ma questa volta l’attesa è stata di circa un’ora e mezza.
Capita l’antifona (c’erano altre due barche a vela ancorate poco a nord dell’ingresso) abbiamo ancorato anche noi e ne abbiamo approfittato per pranzare (insalatona con pomodori, tonnetto sott’olio pescato poco prima di Patrasso, olive di Calamata, mais etc.).
Rimanendo in ascolto via radio, sentiamo il profumo della “marineria vera”, ascoltando i colloqui tra la Torre di controllo di Corinto e le diverse navi alla fonda, specie sul lato est del canale.
Di quanto tempo ha bisogno una nave per disancorare? Un’ora. Qual’è il tempo medio di attesa per il passaggio del canale? Mezza giornata. Di quanto preavviso hanno bisogno i rimorchiatori per essere disponibili? Mezza giornata. Etc. etc.
Ovviamente a volte i colloqui avvenivano in inglese e a volte in greco. Per i primi riuscivamo a capire il 60-70% di ciò che si dicevano, per i secondi, a parte “kalimera”, “ghiassu” e forse qualche numero, il resto poteva anche essere… anche arabo, per noi sarebbe stato lo stesso.
Nel frattempo parecchie navi e imbarcazioni da diporto uscivano dal canale, provenendo da est. Finalmente, verso 14.45 la nostra radio emette un dolce suono: “Sail boat Mazilde, sail boat Mazilde it’s Corinth Control, over”. Alla nostra risposta, ci dicono di prepararci per l’ingresso nel canale dopo 15 minuti, dietro la prima nave che entrerà in direzione est.
E così abbiamo fatto, tolta l’ancora, appena vediamo entrare una nave ci precipitiamo a seguirla, dietro di noi altre due barche a vela. La nave si chiama “Epsilon sea” è registrata a Panama, è lentissima (massimo tre nodi, ma in media due), credo sia trainata da rimorchiatori, è così grande che sembra quasi toccare con le fiancate le alte pareti del canale.
Dobbiamo rallentare molto per avere una distanza di sicurezza perché, se la nave si ferma, non sapremmo dove accostare e c’è anche un bel ventarello da poppa. Insomma, oltre all’immancabile emozione del passaggio nel canale ho anche la preoccupazione dell’eventuale sosta forzata. D’altro canto, se il problema ha soluzione perché ti preoccupi? Se il problema non ha soluzione perché ti preoccupi? Fatto tutto il possibile, per il resto… c’è solo da sperare in bene.
Ovviamente andò tutto bene, anche se l’attraversamento è durato quasi un’ora. Alla fine del canale, sul lato est, ci sono gli uffici. Le barche da diporto devono accostare in banchina e, con i documenti del naviglio, il comandante va a pagare il transito.
Nel caso di Matilde, lunga poco meno di 12 metri, 175€. Una cifra abbastanza ragionevole, se si pensa che l’alternativa al canale è il giro completo del Peloponneso, che in termini di tempo, senza fare una navigazione forzata impegna circa una settimana.
Noi avevamo fretta di andare a Methana, perché lì la municipalità ci aveva assegnato un ormeggio annuale e volevamo prenderne possesso prima che qualcun altro ce lo soffiasse (la lista di attesa per quel posto era durata già tre anni). Poi il Peloponneso, anche se splendido, lo avevo già fatto altre due volte.
All’uscita del canale c’è un po’ di ventarello dritto in prua, poi dopo qualche miglio calma piatta.
A motore proseguiamo per Methana (25 miglia a sud est di Corinto). Il morale a bordo è molto alto – stasera raggiungeremo il nostro primo obiettivo: prendere possesso del nuovo ormeggio.
Abbiamo telefonato ad Angelo, un caro amico italiano che è a Methana con il suo catamarano, e lo abbiamo invitato a cena.
L’avanzamento a motore è molto tranquillo, barca dritta, velocità 6,5 nodi, nessuna manovra da fare tranne evitare Angistri, una grossa isola che sta proprio sulla nostra rotta e che lasceremo a sinistra.
L’arrivo è previsto per le 21 – ora perfetta per una cena solenne. Il mio telefonino squilla, è Simone. Ha bolinato per parecchio tempo e adesso si vuole fermare.
È nei pressi di Patrasso e vuole notizie sui porti (la barca di Simone ha bisogno di un fondale di almeno quattro metri, altrimenti rischia di incagliarsi).
Consulto la mia bibbia sulla Grecia ionica di Rod Heikell e consiglio a Simone o il porto commerciale di Patrasso o quello turistico della vicina Mesolonghi.
Gli mando anche le foto delle pagine del libro (meraviglie della tecnica!!!). Alla fine propenderà per Mesolonghi.
Marco come al solito quando non ci sono manovre particolari da fare si sollazza in cucina e dopo un po’. Scendendo sottocoperta, questa è la scena che mi si presenta:
Grande Marco, una marea di gnocchi è pronta per festeggiare il nostro arrivo. Sorprendente, ma come avrà fatto? E’ da stamattina che traffica in cucina, ma avevo solo visto in giro delle patate bollite. Ora invece tutto questo ben di Dio.
E va bene, ci sacrificheremo, non ci si può esimere.
Per essere pronti per cenare subito dopo l’ormeggio, pensiamo di prepararli durante la navigazione “alla sorrentina”! Cioè con sugo di pomodoro, parmigiano e formaggio a pasta filante (ci vorrebbe la mozzarella ma non ce l’abbiamo) poi al forno. Lo strabiliante risultato finale è questo:
Quando entriamo in porto sono da poco passate le 21. Non c’è vento, la manovra è semplicissima, poi con l’aiuto di Angelo in banchina diventa ancora più facile.
La cena è già pronta, Angelo, che scopro essere nato nel mio stesso giorno e anno e sembra mio figlio. È magro come un chiodo, mangia pochissimo, ma se c’è da fare un sacrificio una tantum non si tira indietro! Apprezza molto la sorpresa degli gnocchi. Però per quattro persone … erano davvero troppi. Nessun problema, abbiamo già il pranzo per domani, ma questo è un altro racconto!
Scopri le ricette menzionate in questo viaggio: zucchine a scapece.
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Un pensiero su “Gnocchi alla sorrentina e il canale di Corinto”
MarcoPubblicato in data7:42 pm - Dic 28, 2017
Che bello! Leggendo questo diario di viaggio, riporta alla mente le piacevoli giornate passate insieme su Matilde!!! Grazie Franco